CRESCONO i volumi di lavoro; aumenta, grazie alla moltiplicazione dei canali satellitari, il monte ore del materiale trattato, ma l’industria del doppiaggio segna il passo. E’ il paradosso di un settore che si sta espandendo all’insegna della deregulation, alimentata dalle aste al ribasso promosse dai grandi network televisivi; dal calo della pubblicità che alimenta le reti; dal fatto che molti prodotti vengono doppiati, ma, essendo destinati a canali con audiensi va oltre i 10 turni». Aggiunge Mario Paolinelli, vicepresidente dell’AIDAC (Associazione Italiana Dialoghisti e Adattatori Cinetelevisivi): «Anche nel nostro lavoro l’unica cosa che sembra contare è il tempo. Complice anche il fatto che oggi i film tendono ad uscire contemporaneamente in tutto il mondo, bisogna consegnare un adattamento in una settimana».
Il rischio, a dispetto di una prestigiosa e gloriosa tradizione, è una progressiva perdita della qualità, come dimostrano i commenti che si possono leggere su un sito, www.asincr.it, che si occupa specificatamente di giudicare il doppiaggio di film e serie tv. «Il problema – afferma Maurizio Ancidoni, presidente della Sefit, la più grande società di doppiaggio – è che da un lato ci viene chiesto ad assolvere agli obblighi di un’impresa, dall’altro siamo costretti a muoverci come un’agenzia d’attori, con margini di guadagno sempre più ristretti. Risultato molte aziende sono in sofferenza, qualcuna prossima al collasso». In ogni caso il business del doppiaggio, concentrato per ce ridicole o programmati in orari impossibili, l’esclusivo intesse del committente diventa quello di spendere il meno possibile, prescindendo completamente dalla qualità. «Da attività artistica – commenta Maurizio Fériaud, segretario del SAI (Sindacato Attori Italiani) – il doppiaggio si sta sempre più trasformando in attività industriale. I ritmi di lavoro sono diventati frenetici; una volta per il doppiaggio di un film si arrivavano ad utilizzare anche 40/50 turni di studio da tre ore ciascuno, oggi per certi film non l’80% nella capitale, muove un giro d’affari valutabile complessivamente fra i 40 e i 50 milioni di euro. Le imprese del settore sono circa ottanta, meno della metà quelle che contano e che lavorano con regolarità, alcune della quali avendo sotto contratto in esclusiva voci celebri e ricercate. Alcune aziende dispongono di proprie sale di registrazione, a Roma fra macro e mini studi si contano circa 200 sale; in altri casi, per le proprie necessità, le aziende si limitano ad affittare momentaneamente studi ed ingaggiare tecnici. Esiste anche un contratto di categoria che stabilisce dei minimi sindacali, per attori, adattatori, direttori di doppiaggio. Per questi ultimi il compenso per un turno è di 167,94 euro; per gli attori varia in funzione della tipologia dell’opera (film per le sale, tv-movie, serie, cartoni animati). Per gli adattatori è di 255 euro a rullo per ciò che riguarda il cinema, contro i 358 dei colleghi francesi. Ma il fatto che in presenza di un aumento di lavoro, i fatturati delle singole aziende nell’ultimo anno abbiano fatto segnare discrete perdite, fa sospettare una crescita del lavoro nero. Complessivamente sono circa 2000 i professionisti addetti alla filiera produttiva, di cui circa 600 sono le voci, ai quali si aggiungono un migliaio di saltuari sporadici. I costi di doppiaggio sono molto vari e, almeno per il cinema, il margine di oscillazione è assai ampio: da 30/35mila euro fino a 120mila euro per film importanti e, fortunatamente, ancora molto curati. Per il prodotto destinato all’home video, alle tv satellitari e per le serie si spendono invece fra gli 8 e i 10mila euro a puntata. – FRANCO MONTINI
Repubblica, 09 giugno 2009 – pagina 14 – sezione: ROMA