Intervento di Filippo Ottoni all’Accademia della Crusca in occasione del convegno “Esperienze di multilinguismo in atto” (maggio 2009)
Presumo che l’Accademia della Crusca – più che in veste di traduttore teatrale – mi abbia invitato a questa Tavola Rotonda in veste di Presidente dell’Associazione Italiana Dialoghisti-Adattatori Cinetelevisivi (A.I.D.A.C.).
È un invito che ci onora e che investe ulteriormente la nostra Associazione di responsabilità riguardo alla evoluzione/involuzione della lingua Italiana parlata. Evoluzione/involuzione di cui – volente o nolente – chi traduce e adatta i dialoghi di film cinematografici, serie televisive, telenovelas, tv-movies e sit-com si rende enormemente responsabile. È infatti innegabile, e quotidianamente riscontrabile, quanto le locuzioni con cui si esprimono i personaggi delle varie opere audiovisive cinematografiche e televisive diventino presto espressioni accettate e diffuse nel linguaggio parlato. Spesso con alterazioni e/o storpiature della nostra lingua. Va detto che nel nostro lavoro di trasposizione linguistica, oltre alle comuni difficoltà del tradurre, spesso s’innescano intralci tecnici di non sempre agevole soluzione. Mi riferisco ai problemi del sincronismo labiale, delle lunghezze delle battute, del ritmo in cui vengono recitate nel filmato originale.
Poiché senza la soluzione di queste problematiche tecniche non può esistere ciò che rende accettabile un doppiaggio e verosimili le voci italiane applicate sui volti di attori e personaggi che si esprimono in un’altra lingua (e spesso anche con altre mimiche), è fondamentale che la partitura elaborata dal traduttore/dialoghista sia tanto credibile da non rompere l’incantesimo della vicenda che lo spettatore sta seguendo sullo schermo, magari con una partecipazione emotiva che – qualora l’inganno del doppiaggio fosse rivelato – andrebbe immediatamente in frantumi.
“Lo spettatore” – ecco, sta qui il profondo spartiacque tra la traduzione letteraria e la traduzione per il doppiaggio: nella profonda differenza tra la modalità di fruizione della traduzione da parte del lettore e quella da parte dello spettatore.
Chi legge tende naturalmente a elaborare il testo in maniera soggettiva. Se sulla pagina si evoca un dialogo tra – poniamo – due muratori, il lettore accetterà facilmente che i personaggi si esprimano in un linguaggio grammaticalmente corretto, poiché sarà lui stesso ad apportare, mentalmente, la correzione di stile necessaria. Ma lo spettatore che ha davanti due operai in abiti da lavoro – magari sporchi di calce, con i tratti fisici tipici dei lavoratori – sentendoli parlare in modo corretto, con tanto di congiuntivi, avvertirà uno scarto tra ciò che vede e ciò che sente. E l’incantesimo è rotto.
Ecco, quindi, che la sociolinguistica assume un rilievo assoluto nella traduzione per il doppiaggio; molto più rilevante che nella traduzione letteraria. Ma la differenze non si esauriscono qui. Nelle opere di fiction straniere – quasi tutte di lingua inglese, a causa della prevalente penetrazione del cinema americano nel mercato internazionale dell’audiovisivo – i personaggi si esprimono quasi sempre nei dialetti di provenienza. Dialetti che il traduttore/adattatore italiano – avendo a disposizione una lingua standard, senza accenti, parlata quasi esclusivamente in televisione – non può rendere con analoghi accenti dialettali nostrani. Ed ecco, allora, che il Direttore di Doppiaggio dovrà ricorrere ad una attenta scelta delle voci e ad una selettiva maniera recitativa per recuperare in qualche modo i differenti registri linguistici dei personaggi e renderli quanto più possibile consoni al messaggio trasmesso dalle immagini.
Un lavoro difficile, che raramente si sposa con i tempi e le esigenze economiche del doppiaggio. Tempi e ansia di risparmio, infatti, sono alla base del degrado della qualità di questo lavoro, con conseguente immissione sul mercato di mediocri traduzioni e pessimi adattamenti. Ma qui il discorso si sposta su una critica socio-culturale che esula dagli obbiettivi di questa Tavola Rotonda. Anche se, a mio avviso, è nell’avvilente livello socio-culturale in cui versa il nostro paese che va ricercata la radice di tutti i mali.
Tuttavia, a mo’ di illustrazione e di provocazione, noi dell’AIDAC ci siamo permessi di girare un breve filmato in cui proponiamo alla vostra attenzione il tipo di linguaggio col quale si esprimono molti nostri giovani nutriti esclusivamente di fiction tv e film afflitti dal doppiaggese.
Questa ne è la sceneggiatura.
Filmato x La Crusca:
In Cucina.
Un giovane prepara il caffè.
Mezza assonnata e mezza vestita entra una giovane donna. Hanno passato la notte insieme, ma non si conoscono. Si sono rimorchiati in un pub. Lui è un neolaureato in lingue; lei una che va molto al cinema. Tra i due c’è il disagio di doversi conoscere e di dover comunicare dopo una nottata di sesso.
Lui: Ciao!
Lei: Salve.
Lui: Salve??
Lei: Sì, salve… Perché?
Lui: Beh, non lo so… Abbiamo… abbiamo passato una notte insieme…
Lei: Beh, “una notte”… Dalle due del mattino in poi.
Lui: Dalle due “di notte” in poi.
Lei: Cioè? Qual è la differenza?
Lui: In italiano sono le “due di notte”. Le ore del mattino cominciano quando comincia a sorgere il giorno. Verso le cinque, diciamo.
Lei: Che mestiere fai, il maestro di scuola?
Lui: Sono neo-laureato in lingue.
Lei: Ah… Però guarda che se tu cominci a fare il maestrino con me io non ti reggo, ti dico “dacci un taglio” e porto via il mio culo da qui.
Lui: (Ride) Perché? Eppure mi pareva che ti fosse piaciuto stare con me.
Lei: Sì, ma che c’entra? Quello è sesso. Mica si parla.
Lui: No, però… Mi sbaglio? Ti è piaciuto o no?
Lei: Che te lo dico a fare?
Lui: (cercando d’interpretare) Ah…
Lei: Che ce l’hai una tazza di tè, per caso?
Lui: Ho fatto il caffè, ma se vuoi ti faccio anche un tè.
Lei: No, non ti preoccupare.
Lui: Davvero, te lo faccio volentieri.
Lei: No, no.
Lui: Ma guarda, ci vuole un attimo.
Lei: Tu non accetti un no per risposta, eh?
Lui: (Pausa assorta) Prego?
Lei: Scusa?… Che c’è? Cosa ho detto?
Lui: No, no, niente… Allora ti faccio il tè, eh? (Mette a bollire l’acqua)
Lei: (Lo scruta) Tu ti prendi molta cura di come parlo, eh?
Lui. (Si blocca, di spalle)
Lei: Che c’è? Mi puoi sentire?
Lui: Sì, sì, ti posso… Ti sento benissimo.
Lei: Wao! Mi puoi sentire. Non ci posso credere!
Lui: (Accende il gas sotto il bollitore e si volta) Tu… tu mi trovi strano?
Lei: Vuoi la verità?
Lui: Certamente.
Lei: Se avevo realizzato che eri così non ci venivo nel tuo appartamento.
Lui: (Colpito) Ah…
Lei: Esatto.
Lui: (Quasi in trance) Ah…
Lei: Ehi, ma cos’è, ti senti male, o cosa?
Lui: (scuotendosi) No, no, scusa.. E’ solo che… Tu-tu.. vedi-vedi molti film doppiati?
Lei: Assolutamente.
Lui: Assolutamente sì, o assolutamente no?
Lei: Assolutamente. Ma sei tonto o cosa? Che vuoi, che li vedo in lingua originale? Mica sono laureata in lingue io. Chi li capisce quelli quando parlano!
Lui: I film si possono vedere anche coi sottotitoli.
Lei: Sì, bravo, beato te. Così per leggere i sottotitoli non vedo il film.
Lui: Certo, non posso darti torto.
Lei: Ah, grazie, Vostro Onore! Allora mi assolve?
Lui: (Adeguandosi) Che te lo dico a fare?
Lei: Oh, così va meglio. Sai cosa? Io mi sento un po’ imbarazzata la mattina dopo.
Lui: Per… per quello che hai mangiato la sera?
Lei: Ma no!
Lui: Ah, per quello che c’è stato durante la notte, a letto.
Lei: Lo hai detto.
Lui: E ti capita spesso?
Lei: Cosa?
Lui: Di… di risvegliarti così, in case diverse.
Lei: Ma per chi mi prendi, per una puttana? Fottiti, amico!
Lui: No, no, scusa, scusa. Non volevo offenderti; era solo un modo per conoscerti un po’ meglio.
Lei: Sì, sì, siete tutti uguali voi maschietti. Io l’ho capito subito, il giorno stesso del mio matrimonio. Addirittura sull’altare. Appena il prete ha detto: “Vuoi tu…?” E io ho risposto: “Lo voglio.”
Lui: Eh, sì. Quello è stato proprio un errore.
Lei: Cosa?
Lui: Rispondere in quel modo.
Lei: Già, già, già. Comunque, quella è acqua passata ormai. Ora sono divorziata e di nuovo single e libera. Il mio motto nella vita è “fai la cosa giusta!”
Lui: Lo hai detto, amica!
Lei: Beh, sai che ti dico? Me ne frego di quella tazza di tè. Me ne vado a fare colazione al mio appartamento. (Si alza)
Lui: Ma è quasi pronta la tua tazza di tè.
Lei: Bevila tu, amico. Io devo andare adesso. Grazie lo stesso. Qua, dammi il cinque!
Lui: (Glielo dà) Abbi cura di te.
Lei: Assolutamente!
Lui: Esatto!
Lei: Allora, salve, amico!
Lui: Salve?… Ah, certo, salve!
(Lei esce. Lui si intristisce.)
********